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Così fan tutte

Riassunto delle puntate precedenti. Nella notte tra martedì e mercoledì Basketnet (già, Basketnet, diciamo che la fonte è quantomeno inquietante) pubblica un post in cui si afferma che martedì pomeriggio la squadra non si è allenata. Parla di stagione a rischio, che detta a cinque gare dalla fine fa un po’ ridere, ma comunque lascia pesanti interrogativi. Di sicuro si sa che mercoledì la squadra si è allenata, di sicuro si sa che è il paese è piccolo e le voci girano, di sicuro si sa che c’è stata una prova abbastanza imbarazzante, almeno per 30′, contro Brescia.
La società si è fatta sentire ieri. Prima dalle pagine del Mattino, dove Balbi ha parlato di grossi sponsor in arrivo e di una situazione in evoluzione per quanto concerne il PalaCasoria, da destinare alle giovanili e in caso di emergenza-PalaBarbuto (che è sempre in emergenza) alla prima squadra. E poi, in serata, in radio. Il presidente ha spiegato di non aver problemi a parlare dell’esistenza di un mese di ritardo nei pagamenti, che sarebbe già stato ripianato, e ha ribadito di essere al lavoro per la prossima stagione.

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Detto questo, abbiamo elaborato per voi due tipi di reazioni diametralmente opposte. Scegliete quella più affine alle vostre sensazioni. Che non si dica che stiamo sempre a fare i negativi.

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Ho sognato Dontae’ Jones al PalaBarbuto, poi mi sono svegliato

L’altra notte ho fatto un sogno: Napoli conduce di poco su Trento, quando all’intervallo sugli spalti inizia a diffondersi uno strano brusìo che si estende rapidamente a tutto il PalaBarbuto. Le voci girano: è lui, no non è lui, ma sì ti dico che è lui. Dontae’ Jones si accomoda in tribuna, il palazzetto inizia a cantare OOOOOH DONTAE’ JONES ALEEEEE’. Inizia la ripresa, Napoli segna da tutte le parti e mette in cassaforte la gara. Dontae’ si batte il pugno sul petto, il pubblico continua a cantare, ci si abbraccia, c’è chi piange ed è tutto bellissimo.

Il risveglio è stato duro.

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Forte Trento, fortissima. Ha due americani belli tosti come corporatura, un play che gioca per la squadra e due lunghi italiani in grado di mettere punti e andare a rimbalzo. Giocano un bel basket, sono ben allenati, ribaltano il lato, trovano canestri su backdoor. Però…

Però ci aspettavamo una reazione migliore da parte di Napoli. E invece la Expert è entrata in campo con poca voglia di difendere. E – ancora una volta – di andare a rimbalzo. I nove punti iniziali di Trento arrivano tutti su secondi tiri (due triple e un gioco da tre punti di Pascolo). Poco importa che alla fine della partita il conto dei rimbalzi offensivi sia quasi pari, perché ancora una volta Napoli concede tantissimi punti da seconda opportunità (14) e da palla persa (13).

Ed è vero che alla Expert mancavano Allegretti e Valentini, ma è pure vero che Trento di fatto ha giocato in sei (più Lechtaler che ha fatto solo danni), e che la panchina ospite ha prodotto un punto e 0/6 al tiro.

Eppure Napoli ha saputo rientrare due volte in partita, in una gara fatta di strappi e controstrappi. La prima volta ricucendo dal 14-28 al 32-30 con un quintetto senza Weaver, con Brkic e Malaventura a prendersi tiri e responsabilità e con un buon impatto di Cefarelli. La seconda (dopo aver beccato uno 0-9 a chiusura di primo tempo) rientrando dal 32-43 al 44-45, prima che Triche e Pascolo chiudessero il match e, di fatto, la stagione partenopea. Non è un caso che le azioni più efficaci degli azzurri siano combaciate con i momenti migliori in fase difensiva: il gioco latita e ad oggi Napoli può fare male solamente se riesce a non far schierare la difesa avversaria. E non parliamo degli attacchi alla zona, che sono un problema che ci portiamo da inizio anno.

E ora?

E ora ci aspettano due mesi sostanzialmente inutili dal punto di vista competitivo, ma importantissimi per iniziare a pianificare la prossima stagione e capire su chi puntare in vista del prossimo anno (SPOILER: quasi nessuno). Il settimo posto è ancora a quattro punti, ma Napoli è quintultima, i primi a non crederci sembrano essere i giocatori, e per Bianchi sarà difficile tenere alta l’attenzione. Una vittoria a Torino potrebbe riportare entusiasmo e riaprire i discorsi, ma le probabilità sono pochine.

Balbi nel dopopartita ha parlato di prossimi annunci di partnership che varranno anche per il prossimo anno, e questo è ottimo in fase di consolidamento. Ma c’è da capire come conquistare un pubblico, che già di suo è freddino, per spingerlo a venire a vedere una squadra senza obiettivi: oggi il palazzetto era insolitamente più pieno, ma l’affollamento della curva ovest contrapposta al vuoto della curva est fa pensare maggiormente a qualche offerta promozionale sconosciuta ai più che ad un’improvvisa riscoperta della pallacanestro (solo in un settore, quello tradizionalmente meno affollato).

Napoli, abbiamo un problema. E’ ora di cambiare.

Dopo il Dontae in versione “Grantland” (se non lo conoscete fateci un giro se vi piace questo sport che si gioca 5vs5 su 28 metri), eccovi un post meno analitico e più di pancia (che nelle feste di Natale è cresciuta un bel po’) sul momento della squadra. Premessa: i numeri non dicono tutta la verità, ma raramente mentono. E quelli di Napoli di bugie ne dicono veramente poche. Breve riepilogo, siamo all’11esimo posto in classifica con un record di 6 vinte e 9 perse, abbiamo il 12esimo attacco, l’ottava difesa, e siamo ultimi nel tiro da tre punti. Le cattive notizie non sono finite qui, perché siamo ultimi anche per presenza di spettatori.

A che punto siamo dopo il girone di andata? Stiamo messi male.
Quali risposte per uscire dall’empasse sono state fornite da squadra e società? Vediamole insieme.

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Squadra+allenatore

Nel basket moderno a vari livelli la tendenza vincente sembra essere quella di “aprire il campo” e creare dei vantaggi. Da situazioni di pick and roll, da penetrazioni e scarico, da giochi a due o a tre, creando dei triangoli per poi ribaltare il lato. Ok, stiamo andando troppo sul tecnico, ma l’assunto è questo: in che zone del campo Napoli può prendere dei vantaggi? Guardando il roster nelle posizioni 3 e 5, ovvero con Weaver e Brkic. Lo facciamo? Sopratutto nel secondo caso, quello dell’ex Brescia, la risposta è no. Coach Cavina, nella sua spasmodica ricerca di un basket senza punti di riferimento, rischia di aver fatto perdere quelle poche certezze anche alla squadra. Togliendo la superiorità atletica e tecnica di Weaver, esplorata forse al 60% per situazioni tattiche e attitudine del giocatore (role player nell’Nba), dall’esterno la sensazione è che non si sappia mai chi possa farsi carico del peso offensivo della partita. E in un campionato di livello così mediocre, non è onestamente tollerabile essere il 12esimo attacco della giostra. Capitolo ritmo. Per usare una metafora il ritmo offensivo di Napoli è scretchante. Non è fluido, procede a strappi e abbiamo l’impressione che Tim Black non abbia ancora capito come far girare la squadra. In realtà il timore è che un certo tipo di playmaking non sia proprio nelle sue corde. Allora che fare? Di cambiamenti se ne sono visti pochi. E, caro coach, il tempo stringe.

Società+gestione

La continuità mostrata nelle scelte e nella difesa delle stesse dal Presidente Balbi è da lacrime agli occhi, nel senso più positivo del termine. Assuefatti a un basket di passaportati, porte girevoli e contratti a gettone, Napoli si segnala come una piacevole anomalia. Il nostro è un “rebuilding”, che non parte solo dal piano tecnico, ma dalla ricostruzione di una reputazione credibile. Sotto questo aspetto, nulla da dire. Ma se vogliamo guardare solo al presente e alla costruzione di questo gruppo che fa fatica a decollare, qualche appunto da fare c’è. Che Weaver, Brkic e Allegretti si pestassero i piedi in attacco, forse era da attenderselo. E scegliere di rinunciare a una guardia vera con punti nelle mani da quintetto si sta rivelando un problema. Come è vero che facciamo fatica a battere l’uomo dal palleggio e a creare buoni tiri per i nostri tiratori piedi per terra, perché i nostri (a parte l’eccezione Ceron), non sono tiratori dinamici da uscita dai blocchi (che per la verità non se ne vedono). Poi c’è il mistero Bryan. Lo abbiamo preso per… non si capisce. Non conoscevamo le reali condizioni fisiche di Malaventura? Domande che attendono risposte, nella speranza che sia il campo a darle.

Operazioni di mercato? A questo punto perché non provarci. Si è parlato di Tessitori, non escludiamo l’ipotesi di un USA in uscita dalla serie A. L’integralismo è ammirevole sotto certi aspetti, ma qua la classifica langue e il pubblico alle partite non viene. Resta un girone per uscire dalla mediocrità, almeno concedeteci questo.

PalaCasoria, perché sì (e perché no)

Napoli, abbiamo un problema. Veramente ce ne sarebbe più di uno, ma le nostre competenze (?) si fermano alla palla a spicchi e a tutto quello che gli gira intorno. Questione PalaBarbuto. Partiamo da quanto dichiarato qualche giorno fa dal presidente della Federazione Gianni Petrucci: “È inverosimile che a Napoli ancora oggi l’agibilità del Palabarbuto sia ridotta ed incerta, con tutte le conseguenze negative per l’Expert Napoli. Mi rifiuto di pensare che l’Amministrazione Comunale non gradisca il basket. Sono convinto che in tempi brevissimi i problemi saranno risolti perché a Napoli, più che altrove, sport è anche sinonimo di legalità e vivere civile”. Inoltre, le quattro partite interne disputate dai partenopei (con Forlì, Imola, Casale Monferrato e Torino) sono state ospitate in un impianto al quale le autorità competenti hanno dato, di volta in volta, l’agibilità provvisoria e per un numero ridotto di pubblico. E il problema si ripresenta per la gara con Verona. Una situazione insostenibile, come lamenta Maurizio Balbi, alla quale si sommano situazioni tragicomiche, del tipo che sono i custodi dell’impianto a decidere sostanzialmente quando finisce una seduta, quando spegnere le luci. Roba da far inviperire il giocatore più scarso della nostra Prima Divisione, figuriamoci dei professionisti. Ora potremmo impelagarci in una questione infinita sulle responsabilità delle istituzioni, ma preferiamo parlarvi di una possibile soluzione, che si chiama PalaCasoria, analizzando i pro e i contro di un eventuale cambio di palazzetto.

Fonte: Pallavoloazzurra.it

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Dieci motivi (più uno) per venire al PalaBarbuto

L’infermeria è piena, la posizione in classifica non è delle migliori e domenica a Napoli arriva Torino.

Sarà una partita importante contro una squadra di vertice, e su RadioMarte ieri Maurizio Balbi ha chiesto il supporto di un pubblico che finora ha risposto in maniera tiepida alla presenza di una squadra buona e di una società che ha fatto tanti sforzi, da un anno a questa parte, per fare sì che i tifosi napoletani potessero guardare del basket di buon livello.

La scintilla ancora non è scattata, le presenze al PalaBarbuto si attestano solitamente intorno ai 1200 ma nell’ultima gara interna con Casale l’impressione era che ci fosse un po’ di gente in meno. Insomma, al palazzetto ci va ancora quello zoccolo duro che bene o male c’è sempre stato e sempre ci sarà. Gli altri tendono ad arrivare a due minuti dalla palla a due, rendendo difficile la creazione di un buon fattore campo.

Contro Torino serve di più. E’ vero, i biglietti costicchiano (ma la curva a 8 euro può convincere anche gli “occasionali”), lo spettacolo in campo non è ancora dei migliori e le vittorie tardano ad arrivare, ma sarebbe bello – intanto – iniziare a riempire il palasport. Napoli è una città calcistica, lo si ripete spesso, ma lo è anche Torino. Due anni fa al PalaRuffini non ci andava nessuno, e quando diciamo nessuno parliamo di 500 spettatori ad essere generosi. Domenica scorsa, a due ore dall’inizio di Juventus-Napoli (no, dico, Juventus-Napoli) a vedere Torino-Capo d’Orlando erano in 5000. Merito della società che è stata brava a consolidarsi in questi due anni, ma evidentemente ha trovato anche terreno fertile. Continua a leggere

Consolidamento

Due buone notizie in poche ore: è arrivato lo sponsor (Expert Napoli, un chiaro omaggio all’età di Malaventura) e pure la tv ufficiale (Tv Luna). Nel nostro post pubblicato una settimana fa con l’intervista a Balbi su Repubblica avevamo scritto la più ovvia delle ovvietà: in seguito alle vicende degli anni passati, avere uno sponsor avrebbe significato non solo trovare quel supporto economico che può essere sempre utile alla società, ma anche instillare maggiore sicurezza nei tifosi e negli appassionati che vorrebbero avvicinarsi alla squadra ma che sono scottati dai crac delle ultime stagioni.

Lo sponsor è arrivato e il consolidamento societario continua. È quasi tutto apparecchiato (c’è ancora la questione PalaBarbuto in sospeso ma là i tempi sono tristemente lenti) per goderci la stagione tranquilli e dare finalmente la parola al campo.

Everything in Its Right Place, insomma