Rivogliamo… Marty Conlon

27 ottobre 2002. La Pompea Napoli di Andrea Mazzon affronta al PalaBarbuto la Lottomatica Roma di Piero Bucchi. È il giorno dell’esordio del nuovo acquisto Marty Conlon. Il lungo gioca 25 minuti, nei quali segna 8 punti e prende 9 rimbalzi. Napoli vince 74-72 ed io esco dal palasport con un nuovo amore cestistico.

Sarà una buona annata per la Napoli dei canestri, nonostante la squalifica dopo 10 partite della nostra musa ispiratrice Dontae’ Jones. La squadra di Mazzon gioca un basket offensivo e divertente, perennemente all’altezza del ferro grazie ai frequenti arcobaleni lanciati da Lamarr Greer ai vari Jones, Davison, Clack. A riequilibrare tanto atletismo c’era lui, Marty, con quel suo gomito perennemente allargato al momento del tiro (ne parliamo dopo, tranquilli) e quel sedere fondamentale per i blocchi contro i quali si andavano ripetutamente a infrangere gli esterni avversari.

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Martin McBride Conlon nasce nel Bronx nel 1968 da una famiglia di origini irlandesi. Frequenta l’high school all’Archbishop Stepinac dove si mette in evidenza con frequenti escursioni oltre quota 30 punti e 20 rimbalzi che gli valgono la chiamata dell’Università di Providence. Nel primo anno (1987) il coach è Rick Pitino, che condurrà la squadra ad una storica Final Four. Persa la semifinale con Syracuse, Pitino lascerà per i Knicks mentre Conlon rimarrà quattro anni nel college in Rhode Island. Nonostante una buona stagione da senior, chiusa a 14.7 e 7.6 punti di media, non viene scelto al Draft e inizia così la sua carriera da vagabondo del parquet. Nove squadre in otto anni, come ogni journeyman NBA che si rispetti, con le esperienze più significative a Milwaukee (dove sfiora i 10 punti di media) e in quei Boston Celtics che cercavano disperatamente di perdere partite per poter scegliere Tim Duncan nel Draft 1997. Le partite le persero, ma per la seconda parte del piano ci fu qualche problema.

È il 2000 quando Conlon sbarca in Europa, anche se a dire il vero aveva già assaggiato il basket del vecchio continente nel 1997 con cinque gare alla Fortitudo Bologna. Sei partite in Spagna, al Fuenlabrada, e nel 2000/2001 è protagonista in un’ottima Verona (13 punti e 7 rimbalzi di media in campionato; cifre analoghe in Eurolega dove giocherà contro l’Olympiakos una serie da 23+8.5 e il 63% da 2).

L’11 settembre 2001, come racconterà poi ad Angelo Carotenuto di La Repubblica, è a New York, nel West Side. In quel momento è senza squadra, in città si cercano volontari dopo gli attentati, e per tre giorni Marty fa da cuoco per chi porta i soccorsi. “Mi diedero un pentolone enorme e un mestolo. Giravo, giravo, giravo. E poi via, a distribuire un pasto dietro l´altro. Presi il turno da mezzanotte alle sette del mattino. Preparavo uova e patate. Ho scoperto che a strofinare i piatti per lavarli, tenevo anche in allenamento le dita. E´ stata un´esperienza fantastica”.

E’ a questo punto della carriera, quando la carta di identità segna 34 primavere, che Marty arriva a Napoli, neopromossa con ambizioni da grande, con il compito di rinforzare il reparto dei lunghi. “Sa leggere la partita come pochi – spiegò all’epoca Andrea Mazzon – Sa quello che sta per succedere in campo”. Conlon diventa subito indispensabile per la squadra: dà una mano in difesa, va a rimbalzo e porta temibilissimi blocchi sui quali gli avversari si stampano a mo’ di cartone animato, è una minaccia costante dall’arco e dentro l’area. E poi si fa amare dai tifosi per la sua simpatia e disponibilità. Contro Siena, in Coppa Italia, ne mette 23. Napoli arriva ai playoff, supera Biella al primo turno e poi si infrange contro la Roma di Myers ed Anthony Parker.

Napoli non lo conferma ma due anni dopo avrà ancora bisogno di lui. A febbraio si ferma Corey Albano e gli azzurri si ricordano del vecchio Marty. L’impatto, nonostante i 37 anni, è sorprendente: subito decisivo con 8 punti, 6 rimbalzi e un canestro pesantissimo contro Milano e contratto prolungato in un amen. Chiuderà il campionato con il 59% da 2 il 41% da 3. La stagione di Napoli terminerà al primo turno dei playoff contro la Benetton Treviso, dopo un campionato travagliato a causa dei tanti cambi in panchina.

Questa foto è semplicemente meravigliosa.

È la fine della carriera per Conlon, che nel frattempo era diventato assistente della nazionale irlandese (che ha chiuso l’attività nel 2010 per problemi economici). Per lui si è aperta una nuova fase, come dirigente di NBA International. Anche con questa mansione gira il mondo, con viaggi in India e in Uzbekistan. Quindi, se in futuro vedrete un ragazzino uzbeko che va in lunetta e abbassa il sedere fino a sfiorare terra, fatevi qualche domanda.

Questa foto l'abbiamo trovata con la seguente dida: Marty demonstrates proper free throw techniques. La bambina non ne sembra convinta.

Questa l’abbiamo trovata con la seguente dida: Marty demonstrates proper free throw techniques. La bambina non ne sembra convinta.

Oh, e a proposito di tiro… sappiamo che stavate aspettando tutti quest’argomento.

Il movimento di tiro di Marty

Parliamo di un marchio di fabbrica, qualcosa che difficilmente sarà dimenticato dagli appassionati del parquet. Un movimento particolarissimo, che raggiungeva il culmine della stranezza quando Conlon andava in lunetta e si piegava sulle ginocchia fin quasi a toccare terra, come detto. Eppure le percentuali gli hanno sempre dato ragione: negli anni in cui ha giocato in Italia, il lungo del Bronx ha sempre tirato con percentuali vicine al 60% da 2, al 35% da 3 e al 70% ai liberi. Per saperne di più ci siamo rivolti ad un vero esperto in materia: Adam Filippi, director of international scouting degli Charlotte Bobcats e in passato dei Los Angeles Lakers e autore di “Shoot Like the Pros”, volume fondamentale per chi ama infilare la palla in quel cesto. Cosa che lui stesso fa con frequenza, come dimostrato dai video delle sue sessioni di tiro che di tanto in tanto carica sui social network.

“Per quanto sia uno stile di tiro assai brutto e molto meccanico/robotico”, ci spiega, “se analizziamo bene la tecnica di Marty possiamo vedere comunque che la sua forma rispetta i punti fondamentali di una meccanica corretta: 1) ha una base solida (equilibrio); 2) tiene bene la palla nelle mani, con la mano sinistra che non interferisce nel rilascio (mani); 3) allinea tutte le parti destre del corpo molto bene con il centro del canestro (allineamento); 4) ha un rilascio molto pulito e una frustata decisa, con un arco corretto (chiusura). Il tutto tenuto insieme da un certo ritmo”.

Quindi un tiro non bello da vedersi, ma corretto. “E’ eccessivo il suo piegamento delle gambe? Si, sicuramente, perché finisce per perdere tutta quella forza quando si stende. La stessa cosa la faceva Anthony Grundy in lunetta, e il suo caricamento di gambe diventava superfluo. Il braccio sinistro di Marty? Sicuramente non bello, ma non credo che influisse sui risultati in alcun modo. Idealmente sarebbe meglio un posizione iniziale compatta con i gomiti vicini alle anche… ma quando si è 2.10 la propria struttura corporea ti porta a fare degli aggiustamenti personali”.

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L’importante è avere una linea di tiro costante, che permetta di sviluppare un tiro dritto, ovvero di eliminare gli errori destra-sinistra che indicano un problema meccanico. Molti giocatori pro (ci viene in mente Shawn Marion) hanno una meccanica non bella da vedere ma consolidata da anni di carriera. In questi casi vale la pena intervenire per tentare di fare correzioni o si rischia di minare le certezze del giocatore? “Shawn Marion è un buon esempio, ma ti elenco anche Reggie Miller, Kevin Martin, Bob McAdoo e lo stesso Larry Bird. Tutti stili di tiro “personali” che non si insegnano, ma se uno analizza bene queste tecniche, va a trovare nuovamente la maggior parte dei fondamentali più importanti del tiro… se ci aggiungiamo anche la mentalità e quella sensibilità che va a svilupparsi solo con anni di allenamento… Eccovi un gran tiratore, seppur con una tecnica poco ortodossa. Più sensibilità nelle mani ha un giocatore, più gli è permesso uscire dai canoni tradizionali… Così come nel passaggio e nel palleggio. Vedi Steph Curry, che tira, passa e palleggia con una scioltezza unica. La domanda che si fanno gli allenatori a tutti i livelli è quella “dobbiamo cambiare o correggere qualcosa in un buon tiratore con tecnica apparentemente scorretta?” A livello senior, se un giocatore fa canestro in modo costante la risposta è solitamente “don’t touch anything!”. Ma spesso solo un piccolo aggiustamento o perfezionamento (io cerco di non usare mai i termini “correzione” o “cambiamento” in quanto sono intimidatori) può portare un ragazzo dall’85% in lunetta al 90% o meglio… non poco a mio avviso. Nel dubbio prima di intervenire bisogna verificare se il “difetto meccanico” influenza o no il tiro! Prendi ad esempio chi gira la mano d’appoggio nella chiusura: anche se non è stabile a lato della palla, mette forza su di essa? Condiziona la rotazione e/o direzione? O cade/gira solo quando la mano forte ha già rilasciato la palla? Tutte analisi da fare prima di aprire bocca e mettere dubbi al tiratore, o addirittura rovinare il rapporto di fiducia con lui”.

81% in carriera ai liberi tirando così.

Adam, ma quanto conta il giusto allineamento al momento del tiro? “Ogni giocatore personalizza un po’ il suo stile di tiro in base alla propria coordinazione, struttura fisica, forza, lunghezza degli arti etc. Tutto questo porta il giocatore a sviluppare un “suo” ritmo del movimento. Per questo vediamo diversi grandi tiratori, tutti con forme di tiro diverse. Ma solitamente hanno in comune i (miei) 4 punti meccanici fondamentali: equilibrio, presa del pallone, allineamento, chiusura. Per quanto sarebbe fondamentale una posizione di allineamento sia iniziale (nella posizione iniziale) che finale (nella chiusura), alcuni grandi tiratori non mantengono una linea di tiro costante per la durata del movimento: JC Navarro parte con la palla sull’anca sinistra ma rilascia a destra, Craig Hodges ha il gomito molto fuori, Kevin Durant e Joe Johnson allineano la palla con l’occhio sinistro… il segreto di tutti questi è che chiudono il movimento molto bene, che li permette di tirare la palla DRITTA a canestro”.

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